Segreti di Famiglia 2: episodio 88 di venerdì 7 novembre 2025

Città di vetro: cinque atti di una rovina annunciata
La città la chiamano di vetro non perché brilli, ma perché si frantuma senza fare rumore. Alle 18 precise, quando la luce si piega e le insegne si accendono come confessioni, un taxi giallo si ferma davanti al Palazzo di Giustizia e scarica tre verità e una bugia. Il fotoreporter più noto della cronaca nera, scomparso da sette giorni, riappare in un vicolo con la memoria bucata e la giacca tagliata all’altezza del cuore; la sindaca, Santa delle inaugurazioni, inciampa in un’inchiesta di appalti con la grazia di chi cade senza mettere le mani avanti; un violinista adolescente, mascotte dei festival, suona un bis solo per coprire il singhiozzo di sua madre; e poi c’è la bugia: che tutto questo sia un caso. No, non è un caso. È un orologio. Un meccanismo oliato con la paura di chi sa che ogni finestra è un occhio e ogni occhio è un testimone. E in questa vetrina, chi si riflette per primo è Malena, la cronista che mastica verbi come chiodi, con un taccuino che non sbaglia mai il bersaglio e un passato che ha smesso di dormire.

Malena contro la città: un duello alla luce dei neon
Malena cammina, conta i passi, riconosce le crepe del marciapiede come si riconosce il profilo di un amante. Sa che la storia non è dove urla la folla, ma dove sussurra il custode che apre tardi e chiude in anticipo. Il suo informatore numero uno, chiamato “L’Orologiaio”, le ha promesso il nome di chi manovra gli ingranaggi: una fondazione culturale che ripulisce denaro con il profumo della beneficenza. Ma l’Orologiaio sparisce alle 17:52, lasciando in segreteria un messaggio che è un brindisi al disastro: “Alle 18 cade la maschera”. A Malena tremano le dita solo quando ricorda suo padre, un giudice che credeva che la legge fosse una scala e non una trappola; lo trovarono una mattina con la cravatta troppo stretta e la verità troppo larga. Da allora, Malena non chiede mai “perché”, chiede “a chi giova”. E quella sera, ogni risposta la rimandava a un unico balcone: quello della Sindaca, dove le orchidee non appassiscono mai.

Il violinista e l’uomo dai due orologi
C’è un ragazzo che suona per non gridare. Si chiama Theo, ha le nocche segnate come spartiti e l’orecchio assoluto per il dolore degli altri. Quella sera, nel foyer del Conservatorio, nota un uomo con due orologi: uno al polso, uno tatuato sul collo; uno segna le 18, l’altro non ha lancette. L’uomo sorride come chi conosce il finale e passa alla madre di Theo una busta più pesante della coscienza. “Uno sponsor per il talento”, sussurra. Ma dentro ci sono solo ritagli di giornale: proteste, palazzi, contratti, e una foto di Malena che volta la testa come se stesse schivando un colpo. Theo segue l’uomo dai due orologi fino al retro, sente un tintinnio metallico, una frase spezzata: “Non oggi. Alle 18, e basta”. Quando rientra, la madre non c’è più. Al suo posto, un telefono che squilla con la voce di una bambina registrata: “Se vuoi la musica, devi pagare il silenzio”. Theo capisce che il suo violino è diventato un ostaggio.

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La sindaca, il fotoreporter e il fantasma chiamato Fondazione
Su quel balcone, tra le orchidee che fingono innocenza, la Sindaca impara l’arte della resa elegante. Convoca una conferenza alle 18: promesse, cifre, scuole, un futuro che si scrive con la retorica a stampatello. Ma in prima fila c’è il fotoreporter ricomparso, lo chiamano Jaro, un occhio bendato e l’altro che brucia come un flash. Alza la mano. Nessuno gli aveva mai sentito la voce. “Ho filmato il vostro futuro,” dice, “ma su quel nastro non c’è nessun bambino che ride: ci sono camion che entrano di notte, scatole senza etichette, e l’uomo dai due orologi che timbra con il vostro autografo.” Il microfono gracchia, i vetri del municipio tremano come un cuore in corsa. Il video parte sugli schermi più grandi dei debiti: un corridoio, una porta con la scritta “Fondazione”, una stanza bianca dove i soldi cambiano colore e i favori cambiano proprietario. In un angolo, Malena, respirando a denti stretti, riconosce la voce della segreteria automatica di suo padre, quel “torno presto” che non tornò mai.

Il conto alle 18: quando la verità sfonda la vetrina
È sempre una questione di orari: alle 18, il taxi, il messaggio, la conferenza, il video, la busta, il violino che tace. L’uomo dai due orologi prova a uscire dal retro, ma ad attenderlo c’è l’Orologiaio, vivo contro ogni previsione, con una valigetta che odora di pioggia e di prove. “Il tempo lo facciamo noi,” dice, “non loro.” Malena apre la valigia: contratti con firme sdoppiate, la planimetria di un tunnel sotto il Conservatorio, il registro delle donazioni a Theo come scudo umano. La Sindaca, pallida come un neon, balbetta che non sapeva; Jaro, con la calma di chi ha già perso tutto, risponde che l’ignoranza è una scelta. La folla non urla: trattiene il fiato, assiste alla rottura di uno specchio enorme. Ogni scheggia è un nome, un indirizzo, una scusa. Theo, con il violino in mano, attacca una nota impossibile, lunga come un’ambulanza. L’uomo dai due orologi si porta le mani al collo: il tatuaggio senza lancette comincia a bruciare. La Fondazione, sussurra qualcuno, non è un’istituzione: è un alibi. E quando alle 18 e un minuto la prima sirena accende la sera, Malena capisce che la città di vetro non è crollata: ha imparato a tagliare. Se vuoi che continuiamo a incidere dove fa più male, se vuoi ricevere i documenti, i nomi, i segreti che reggono i palazzi, resta con noi: alle 18, domani, ricomincia il tempo.