Segreti di Famiglia Episodio 35: accuse incrociate, telefoni clandestini e una verità che scotta tra Ceylin, Ilgaz, Engin e Yekta

La notte non ha convinto nessuno a tacere la coscienza: una figlia che rifiuta di lasciare Defne senza padre, una domanda di divorzio consegnata come una ferita aperta, e la decisione più dura – “non denuncerò, ma quando tornerà mio padre dirò tutto”. È l’innesco di un episodio che mescola drama familiare e legal thriller. In carcere scoppia il primo scandalo: durante la perquisizione spunta un cellulare nel letto di Engin. Chi l’ha introdotto? L’ordine è già stato dato: isolamento, divieto di colloqui, tracciatura completa di visite e minuti. Pars ringhia, Eren prende appunti, e un dettaglio taglia l’aria come una lama: “Ilgaz ha chiesto la cella d’isolamento ieri.” Sospetto? Strategia? Nel frattempo, a casa, Parla sogna l’arrivo del nonno con un sacchetto di pesce e una borsa minuscola; la vita, però, bussa con meno poesia. In tribunale, Ceylin viene ammonita: la sua denuncia contro Pars per presunti legami con Yekta è infondata, e la prova “regina” – il dossier manipolato – si rivela un rapporto medico di Pars, ricoverato la notte del fattaccio. La frizione è massima: fiducia incrinata, verità parziali, orgoglio ferito.

La città si muove in controcanto. Davanti all’azienda Tilmen, Seda affronta Yekta con un gelo da resa dei conti: “Il tuo impero sta per finire, resterai senza clienti, forse anche sotto processo.” Lui la irriderà, ma poco dopo la Procura la convoca: interrogatorio e, in un crescendo da noir giudiziario, sequestro di telefono e laptop, perfino un fermo “per atteggiamento ambiguo”. È un abuso? Forse. Ma il colpo di scena corre parallelo: dalla casa circolano immagini che incastrano Meltem, la madre di un bimbo malato, accusata di aver usato la malattia come leva. Il nome che terrorizza i medici risuona: la sindrome di Munchausen per procura – pochi casi, prove difficili, pene pesanti. Ceylin e Ilgaz bussano alla porta del piano di sopra, dove l’ex e la nuova compagna litigano senza filtri davanti alla polizia: insulti, sospetti, un passato di minacce in ospedale e soldi cambiati in fretta. Nel corridoio del tribunale, intanto, la tensione tra Pars e Ilgaz esplode: Engin provoca, sfiora l’oltraggio, si chiude la trappola – “attacco al pubblico ministero” – e 24 ore preziose sono guadagnate per scavare nel traffico del cellulare clandestino.

Fuori dall’aula, il melodramma familiare si fa martello. Tuğçe sta per correre la staffetta, ma la sua vita corre già da sola: Eren affronta Özlem e le strappa la verità come si strappa un bendaggio vecchio – “ho fatto il test, sono il padre”. Lei trema: “Se lo dici, Fatih ci distruggerà.” Eren risponde con una calma feroce: “Tuğçe merita di sapere chi è.” Nel frattempo, alla scuola di Parla arriva un mazzo di fiori e un biglietto avvelenato: doping, medaglia da restituire, minacce velate. La madre prova a celebrare l’impresa, ma le invidie corrono più veloci della ragazzina in pista. Ceylin incrocia la zia di Engin, Seda: nove anni di silenzi, una frattura con la famiglia, e ora la decisione più controversa – difendere l’uomo accusato di aver ucciso İnci. “Se lo tiri fuori, lo uccido con le mie mani,” sputa Ceylin, e la frase rimbomba lungo i corridoi. L’ispettore Radvan, giù in centrale, conferma intanto un indizio che sblocca il puzzle: in carcere qualcuno ha confessato di aver dato il telefono a Engin. Non l’avvocata, non un familiare: una “talpa” interna. La pista tecnologica prende forma: tabulati, IMEI, contatti, tempi.

Nel controcampo emotivo, la speranza è una corda tesa. La squadra “Kayıp Şahıslar” informa Ilgaz: il giorno della scomparsa, Zafer ha cambiato oro in un negozio e il suo portafogli è stato ritrovato nell’auto lasciata al cimitero, senza impronte utili. Gül resiste, stringe i denti e tiene unita la casa. In tribunale, Neva sviene durante l’udienza; Pars la solleva con un’umanità che non concede spesso a sé stesso: “A casa, subito, chiamami ogni ora.” Yekta intanto gioca la carta più scura: consegna a Ilgaz un referto di una clinica dove Engin era seguito, suggerendo una valutazione psichiatrica – “se emerge l’incapacità d’intendere, l’ospedale psichiatrico è il suo destino.” È tattica o disperazione? Forse entrambe. In centrale, il fermo di Seda traballa: i tecnici non trovano scambi col numero clandestino. Ma la Procura non molla, perché la domanda resta lì, cocente: chi arma Engin da dietro le sbarre? E soprattutto, chi vuole distruggere Tilmen Hukuk mentre i fili dell’inchiesta si stringono al collo di suo figlio?

L’alba arriva con promesse e minacce. Promessa: la lista visite del carcere, i log del telefono e le videocamere interne possono inchiodare la talpa che ha rifornito Engin. Minaccia: entro le 17, Eren pretende la verità su Tuğçe davanti alla ragazza, o lo farà lui; Özlem implora il silenzio, parla di morte come di una possibilità concreta. Sulla corsia sportiva, Parla sorride per la foto con la squadra, ma l’ombra del biglietto sul doping pesa come piombo; in Procura, Pars mette in riga tutti: “o prove o scuse”, mentre Ceylin, ferita e lucida, ripete a se stessa l’unica bussola possibile – “le verità fanno male, le bugie uccidono.” Procesul Episodio 35 si chiude senza catarsi, con un gancio allo stomaco: tre fronti che convergono – il telefono di Engin, la paternità di Tuğçe, la caduta annunciata di Yekta – e un’unica domanda per chi guarda: chi ha più paura della verità che sta per emergere? Se vuoi seguire ogni svolta, iscriviti agli aggiornamenti, attiva le notifiche e raccontaci nei commenti: la “talpa” di Engin è un soldato isolato o il primo ingranaggio di una macchina che vuole riscrivere la giustizia a colpi di ricatti?