Segreti di Famiglia 3: la trama di giovedì 27 novembre 2025
Nella piccola città di Valmonta la pioggia cadeva da tre giorni senza sosta, lavando via le orme ma non i sospetti. Alle 19:32 di un mercoledì qualunque, il notiziario locale interruppe la solita cronaca politica con una scritta rossa in sovraimpressione: “TRAGEDIA ALL’HOTEL REGINA”. Nella hall semibuia, tra odore di moquette bagnata e caffè bruciato, il corpo di Lorenzo Ferri, noto avvocato e figlio dell’uomo più potente della zona, giaceva ai piedi della grande scalinata di marmo. La versione ufficiale, sussurrata con troppa fretta, parlava di incidente. Ma c’era qualcosa di stonato: il cellulare di Lorenzo, ritrovato a metri di distanza, mostrava un messaggio non inviato, bloccato a metà, che diceva solo: “Se succede qualcosa stanotte, non credere a nessun…” e poi il vuoto, come se qualcuno avesse strappato la frase dall’aria.
La prima a leggere quel messaggio fu Elisa Conti, giornalista del “Giornale di Valmonta”, arrivata all’hotel per puro caso, o almeno così avrebbe raccontato in redazione. In realtà, seguiva Lorenzo da settimane, convinta che stesse per esplodere uno scandalo capace di trascinare giù con lui mezzo consiglio comunale, incluso suo padre, Vittorio Ferri. Dietro la facciata irreprensibile di benefattore della città, Vittorio era noto negli ambienti giusti per affari opachi, appalti truccati e una rete di favori che toccava tribunali, banche e persino l’ospedale. Elisa, stringendo il telefono ancora caldo tra le mani, sentì la schiena gelarsi quando vide l’ultimo destinatario scelto da Lorenzo: il suo numero. Lui stava scrivendo proprio a lei quando era caduto. O era stato spinto. In quell’istante capì di non essere solo una giornalista che inseguiva una storia: era diventata, volente o nolente, parte della stessa trama che cercava di smascherare. 
Mentre la polizia compilava verbali svogliati e parlava di gradini scivolosi, nell’ufficio con le pareti di legno lucido del sindaco le luci restarono accese fino a tarda notte. Vittorio Ferri fissava una fotografia incorniciata: lui, più giovane, con in braccio un Lorenzo bambino che rideva senza sapere nulla di debiti, minacce o ricatti. Il sindaco, abituato a controllare tutto e tutti, quella sera sentiva il terreno mancargli sotto i piedi. Sul tavolo c’era una cartellina blu, sottile ma pesante come una condanna: copie di documenti bancari, firme false, trasferimenti verso conti esteri. Tutto ciò che Lorenzo aveva scoperto lavorando nel suo stesso studio legale, tutto ciò che avrebbe potuto distruggere una carriera costruita sull’apparenza. Accanto alla cartellina, un post-it piegato. Poche parole, familiari e terribili: “Papà, non posso più coprirti. Domani, alle 20, parlo con la stampa. Se vuoi fermarmi, parlami stasera. Da solo. All’Hotel Regina.”
Quando Elisa ricevette una telefonata anonima che la invitava a cercare “nei piani alti del Regina, dietro gli specchi”, pensò a uno scherzo di cattivo gusto. Ma il tono di quella voce, calma e ferma, le rimase addosso come un odore. Si introdusse nell’hotel il giorno dopo, approfittando del via vai di curiosi e tecnici della scientifica; nessuno fece caso a una ragazza con un taccuino in mano. Al terzo piano, in fondo al corridoio, c’era uno specchio più grande degli altri, con la cornice leggermente scheggiata. Avvicinandosi, notò quattro piccole viti che spuntavano appena. Non era fissato al muro come gli altri, sembrava appeso in fretta. Dietro, nascosto in un incavo, trovò un microfono collegato a un vecchio registratore digitale ancora acceso. Il display lampeggiava: 00:47:19. Un’unica traccia audio, registrata la notte precedente. Elisa premette play con un dito che tremava più di quanto avrebbe voluto ammettere, consapevole che ciò che stava per ascoltare avrebbe cambiato non solo il suo articolo, ma le alleanze, le colpe e forse l’intera città.
La voce che si sentì all’inizio era quella di Lorenzo, stanca ma decisa. Parlava di fatture fantasma, di appalti per la ristrutturazione dell’ospedale assegnati a società inesistenti, di bonifici verso una banca in Lussemburgo. Ma non era questo il vero colpo al cuore: era il modo in cui si rivolgeva all’interlocutore, chiamandolo “papà” con un misto di rabbia e supplica. La seconda voce, più bassa, apparteneva a Vittorio Ferri. Negava, poi confessava a mezza bocca, poi cercava di convincere il figlio che “tutti fanno così” e che “senza compromessi non si governa niente”. Quando Lorenzo pronunciò la frase “Allora sarà un giudice a decidere, non io”, si udì lo stridio di una sedia, passi pesanti, un tonfo, un urlo strozzato. Seguì un silenzio di due secondi, lunghissimi, poi il respiro affannoso di Vittorio e un mormorio quasi incomprensibile: “Non dovevi costringermi, non tu.” Il file si chiudeva con il rumore secco di una porta che sbatteva e il lontano ronzio di una sirena che sembrava avvicinarsi. Nessuna terza voce, nessun misterioso assassino da fuori. Solo un padre e un figlio che avevano trasformato una conversazione di verità in una condanna definitiva.
Con quella registrazione in tasca e il messaggio incompiuto di Lorenzo ancora aperto sul telefono, Elisa sapeva di avere tra le mani l’articolo che qualsiasi giornalista avrebbe sognato di firmare. Ma sapeva anche che pubblicarlo significava firmare, metaforicamente, la sentenza di morte politica di Vittorio Ferri, e forse la propria. Il direttore del giornale le chiese di pensare alle conseguenze, agli sponsor, alle pressioni che sarebbero arrivate “dall’alto”. L’ufficio del sindaco cominciò a farle arrivare offerte gentili: una posizione in un grande quotidiano nazionale, una casa in affitto a metà prezzo, persino la promessa di finanziare una borsa di studio per suo fratello minore. A ogni no che pronunciava, Elisa sentiva la rete stringersi di più: auto che la seguivano di notte, telefonate mute, una finestra di casa trovata socchiusa al suo ritorno. La domanda che la inseguiva, implacabile, non riguardava più solo la verità, ma il prezzo da pagare per raccontarla. Quando, finalmente, decise di consegnare tutto al giornale e preparare la prima pagina con il titolo “LA CADUTA DEL SINDACO FERRI: UN FIGLIO, UNA VERITÀ, UNA NOTTE ALL’HOTEL REGINA”, non era più la giovane cronista che inseguiva una storia: era la testimone di una tragedia che stava scegliendo da che parte della storia stare. Se vuoi, posso scrivere ora la versione completa dell’articolo di giornale che Elisa pubblica, con titolo, occhiello e citazioni dirette dalla registrazione.