Segreti di famiglia 3, le trame dall’1 al 5 dicembre: Ilgaz e Ceylin affrontano Nadide

Nella penombra del soggiorno, il ticchettio dell’orologio sembrava scandire non il tempo, ma la colpa. Ceylin teneva tra le dita la maglietta piegata con cura, quella stessa che era apparsa davanti alla porta di casa come un fantasma lasciato in offerta sull’altare del loro dolore. Ilgaz la osservava in silenzio, le braccia conserte, lo sguardo fisso sullo schermo del laptop dove i filmati delle telecamere scorrevano a velocità ridotta. Un volto, una sagoma, un gesto incerto: ogni dettaglio poteva essere la chiave per ritrovare Mercan o la lama che avrebbe reciso per sempre la speranza. Metin, con l’aria di chi ha visto troppi crimini e troppo pochi miracoli, si sporse in avanti. «Torna indietro di cinque secondi», ordinò con voce roca. L’immagine tremolante mostrò una donna di mezza età, capelli lunghi che ricadevano sulle spalle, il passo deciso ma nervoso. Lasciava la scatola davanti alla porta, si guardava intorno e spariva fuori dall’inquadratura. Nessuna targa, nessun dettaglio nitido. Solo quell’ombra che ora aveva un nome: Nadide. Ma ciò che li spaventava di più non era l’ignoto, bensì la sensazione che qualcuno li stesse guidando come pedine su una scacchiera di cui ignoravano le regole.

La frustrazione montava mentre, insieme a Eren, ripercorrevano la scia sottile dei numeri di vendita delle magliette. Un indizio apparentemente insignificante diventava l’unico filo logico in un labirinto di menzogne. «Chiunque sia, ha comprato quella maglietta con uno scopo preciso», mormorò Eren, digitando freneticamente sulla tastiera. «Non è un caso, non può esserlo.» Avevano deciso di tenere segreto il loro lavoro investigativo, persino ai colleghi più fidati. Troppi occhi, troppe bocche, troppi possibili traditori. Il caso di Mercan non era più solo un’indagine: era una ferita aperta nel corpo di tutti loro. Quando Ilgaz e Ceylin si presentarono nell’ufficio del Procuratore Efe, l’aria si fece improvvisamente più pesante. «Perché non è stato disposto il segreto investigativo sul caso di nostra figlia?» chiese Ilgaz, ogni sillaba tesa come il filo di un rasoio. Efe incrociò le mani, cercando di sembrare inattaccabile. «La richiesta è stata fatta e approvata», rispose. Ma le sue pupille ebbero un impercettibile tremito, un lampo di qualcosa che somigliava troppo alla paura. Ceylin lo fissò, intuendo che sotto quella formalità perfetta si celava una crepa. Non sapeva ancora se fosse fatta di rimorso, di corruzione o di panico. Sapeva soltanto che quell’uomo non stava dicendo tutta la verità.

Fu Mert a trascinarli fuori da quell’impasse, quasi contro la loro volontà. «Dovete venire con me in casa di cura», disse, senza preamboli. «Macit ha ricordato qualcosa.» La struttura odorava di disinfettante e ricordi smarriti. Macit, seduto vicino alla finestra, guardava il cortile come se lì fuori scorressero i frammenti della sua memoria. Al vederli, ebbe un sussulto. «Il giorno del rapimento…» balbettò, portandosi una mano alla fronte. «C’era una donna… di mezza età… capelli lunghi…» Ogni parola cadeva nel silenzio della stanza come una pietra in un pozzo. «Era lei a tenere Mercan per mano. Non era un’uomo. Non era uno sconosciuto qualunque. Sembrava… sembrava che Mercan si fidasse di lei.» Ceylin sentì il mondo girarle intorno. L’idea che la loro bambina potesse essere stata portata via non con la forza, ma con la dolcezza ipocrita di una falsa sicurezza, era quasi insopportabile. Ilgaz serrò la mascella. Una donna di mezza età, capelli lunghi, la stessa descrizione che combaciava con la figura immortalata dalle telecamere. La stessa che ora li conduceva dritti a Nadide. Non era più una sagoma sfocata, ma un nome che pesava come una condanna.

L’incontro con Nadide fu tutto tranne che un normale interrogatorio. L’odore acre del caffè freddo impregnava la stanza mentre lei, seduta di fronte a loro, si aggrappava alla borsa appoggiata sulle ginocchia come fosse uno scudo. Il video che la mostrava mentre acquistava la maglietta veniva riprodotto sul tablet, muto, accusatore. «Perché hai comprato quella maglietta?» domandò Ceylin, la voce stranamente calma. Nadide esitò, un velo di sudore sulla fronte. «Era… un regalo. Non ricordavo nemmeno di averlo fatto», balbettò. Ma il tremito nelle sue mani la tradiva. Ilgaz si chinò in avanti. «Quale donna di mezza età, con i capelli lunghi, era con Mercan il giorno del rapimento?» Il silenzio che seguì fu quasi assordante. Nadide cercò una via di fuga nello sguardo di ciascuno di loro, trovandovi solo determinazione. «Non capite…» sussurrò infine. «Pensavo di aiutare. Pensavo di sistemare le cose. Ma tutto è sfuggito di mano.» Le sue parole cadevano spezzate, come se qualcuno le avesse imposto di non dire troppo, o come se la verità fosse talmente mostruosa da non poter essere pronunciata per intero. E proprio in quell’istante, Ceylin comprese che Nadide non era solo una testimone: era un tassello centrale in un gioco più grande, manipolata oppure complice.

Mentre uscivano dall’interrogatorio, il corridoio del tribunale sembrava più lungo del solito, illuminato da neon che rendevano ogni cosa innaturalmente pallida. Eren li raggiunse di corsa, il telefono ancora in mano. «Abbiamo incrociato i dati delle vendite con le telecamere esterne ai negozi», disse, ansimando. «C’è un’altra persona che appare sempre a distanza: non entra mai, non compra nulla, ma osserva. È presente ogni volta che si effettua un acquisto collegato al caso.» Ilgaz sentì un brivido salire lungo la schiena. Una figura nell’ombra, un regista invisibile che muoveva le fila, lasciando ad altri il compito di sporcarsi le mani. Ceylin, invece, provò una furia gelida. «Qualcuno sta giocando con noi usando Mercan come pedina», sibilò. In quel momento, non erano più solo un pubblico ministero e un’avvocata, non erano solo genitori disperati. Erano due avversari che sfidavano un nemico senza volto, pronti a pagare il prezzo che fosse necessario pur di riportare a casa loro figlia. E mentre la notte calava su Istanbul, con le sue luci tremolanti e le ombre lunghe, sapevano che ogni risposta trovata avrebbe aperto una nuova, dolorosa domanda. Se vuoi, posso continuare e trasformare questa storia in un intero capitolo di un romanzo, approfondendo il passato di Nadide e il legame segreto con Mercan.