Segreti di famiglia: il passato di Ceylin ritorna, tra vendetta, colpa e il rapimento di Mercan
Nella notte gelida dell’8 dicembre, Istanbul sembrava trattenere il respiro insieme a loro. Le luci dei lampioni colavano sui marciapiedi bagnati come lacrime, mentre Eren fissava lo schermo del computer nell’ufficio della omicidi. Le nuove informazioni che Tugce aveva appena caricato nel sistema bruciavano davanti ai suoi occhi: nomi, date, fascicoli dimenticati. E al centro di quella ragnatela di numeri e fallimenti, un collegamento che non avrebbe mai voluto vedere: Ceylin. La morte di Ismail, il marito di Filiz, non era solo un altro caso di disperazione e bancarotta. Era un debito di sangue che ricadeva, anche se indirettamente, sulla donna che lui stesso considerava da anni una variabile imprevedibile: l’avvocata che trasformava ogni processo in una guerra personale.
Ismail, prima di scegliere il gesto estremo, aveva attraversato mesi di umiliazioni, interrogatori e porte chiuse. Nel processo per bancarotta che lo aveva distrutto, Ceylin era stata la voce implacabile della parte avversa, la lama affilata che aveva inciso la sentenza sul suo destino. Tugce, scavando tra archivi digitali e vecchi verbali, aveva ricostruito quella storia come si ricostruisce una scena del crimine: passo dopo passo, parola dopo parola. Quando Eren, con la fronte corrucciata, aveva messo insieme l’ultimo tassello, qualcosa dentro di lui si era incrinato. Non era solo un’indagine. Era un cerchio che si chiudeva contro chi, fino a poco prima, aveva lottato accanto a loro per la verità. E ora, quella stessa verità puntava il dito verso Ceylin, come una condanna silenziosa.
Mentre la pioggia riprendeva a battere sui vetri, la polizia si diresse verso casa di Dilek. Le sirene rompevano il silenzio dei quartieri residenziali, riflettendosi sui balconi come un’eco di colpa. Eren guidava con la mascella serrata, mentre nella sua mente si affollavano i ricordi: i casi risolti insieme, le discussioni accese in aula, gli sguardi di sfida tra Ceylin e chiunque osasse mettersi sulla sua strada. Ora, però, la strada conduceva a un’unica domanda: fino a che punto si poteva essere responsabili del crollo di un uomo? Era sufficiente una parola, una requisitoria brillante, per spingerlo oltre il baratro? O c’era qualcosa di più oscuro dietro la scelta di Ismail di trascinare con sé una bambina innocente? Quando arrivarono davanti al portone, Eren sentì che non stavano semplicemente cercando due fuggitive, ma camminando dentro una tragedia già scritta.
La porta di casa Dilek fu sfondata in pochi secondi, ma l’eco del colpo sembrò rimbombare molto più a lungo. L’appartamento era vuoto, impregnato di un silenzio che sapeva di fuga e di fretta. Sul tavolo ancora apparecchiato, un bicchiere rovesciato lasciava una scia di acqua sul legno, come se qualcuno si fosse alzato all’improvviso. In camera, il letto della bambina era sfatto, un peluche abbandonato sul pavimento con un orecchio strappato. Filiz e Mercan erano già sparite. Eren sentì montare una rabbia impotente: ogni minuto di ritardo poteva trasformarsi in una distanza impossibile da colmare. E in quella casa svuotata all’improvviso, il nome di Ceylin pesava come un’accusa sussurrata. Non era lei ad aver premuto il grilletto, ma il processo che aveva vinto anni prima sembrava ora un colpo di pistola che aveva continuato a rimbalzare nel tempo, fino a distruggere un’intera famiglia.
Lontano da lì, Ceylin non sapeva ancora che il suo passato stava tornando a cercarla con il volto di un’indagine di omicidio. Per lei, Ismail era rimasto un fascicolo, un numero di caso, un’altra battaglia vinta in aula in nome della legge e della giustizia. Ma la giustizia, quella vera, non si accontenta delle sentenze: pretende il peso delle conseguenze. Quando Eren si presentò davanti a lei, con lo sguardo duro e i documenti di Tugce sotto braccio, lo spazio tra loro si riempì di un silenzio più eloquente di qualsiasi accusa. Da qualche parte, Filiz stringeva a sé Mercan, forse convinta di essere l’unica a capire fino in fondo quanto male potesse fare una firma in calce a una sentenza. E mentre le indagini si addentravano nel labirinto di colpe, vendette e fallimenti, diventava chiaro che quei segreti di famiglia non appartenevano solo alla casa di Ismail, ma a tutti loro: a chi aveva giudicato, a chi aveva indagato, a chi aveva scelto di vivere o di morire.